La liturgia - scuola di preghiera (seconda parte)

Che cos’è la liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso, direi indispensabile – possiamo leggere che originariamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene. 

Il Catechismo indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio. 

Questo ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio. Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare. Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera. 

Però possiamo chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio. 

Facciamo un altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)» (Vicesimus quintus annus, n. 7). Sulla stessa linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153). Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia 

preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua «Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci, « la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente. Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l'inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all'interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio. 

In questa linea, vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione. Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale. 

Quando viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum. 

Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre. Dio stesso ci insegna a pregare, afferma san Paolo (cfr Rm 8,26). Egli stesso ci ha dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che incontriamo nel Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più consapevoli del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera che sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2564). Grazie. 

(Benedetto XVI, Udienza generale del 26 settembre 2012, La Liturgia, scuola di preghiera: il Signore stesso ci insegna a pregare - seconda parte) 

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